A cura di Simone Perna – Nutrizione 33

Negli ultimi anni la dieta vegana e quella vegetariana hanno guadagnato un crescente interesse nella popolazione per motivi etici, sociali, economici e salutistici.
Questa dieta, se pianificata correttamente, è risultata essere un fattore protettivo verso le malattie cardiovascolari, il cancro e la sindrome metabolica.
Le diete vegane e vegetariane possono essere spesso inadeguate se dovute a fattori economici, poiché le persone hanno accesso ad un numero limitato di prodotti, andando incontro a carenze nutrizionali. La gravidanza è l’unica situazione in cui la dieta non ha effetti solo sulla salute della madre, ma anche su quella del bambino, diventando fondamentale nel determinarne la salute da adulto.
I maggiori rischi cui possono andare incontro le donne vegane e vegetariane sono prevalentemente i deficit di vitamina B12 e di Ferro, i cui fabbisogni aumentano durante la gravidanza. La vitamina B12 è sintetizzata in natura solo da alcuni microorganismi e dalle alghe ed è quindi assente da tutti gli alimenti di origine vegetale. I contenuti maggiori si trovano nelle frattaglie, in particolare nel fegato, nel pesce, nei molluschi e nei crostacei, nel tuorlo d’uovo e nel parmigiano, mentre nella carne e nel latte la vitamina è comunque presente anche se in quantità inferiori. La carenza si instaura lentamente negli adulti e più rapidamente quando le riserve sono limitate e il fabbisogno dovuto alla velocità di crescita è alto (ad esempio nei neonati allattati al seno di madri vegane). I sintomi clinici di carenza di vitamina B12 sono l’anemia megaloblastica, alterazioni neurologiche (in alcuni casi irreversibili) e gastrointestinali. Sono stati descritti anche effetti sul sistema immunitario, in particolare diminuzione nel numero e nella funzionalità dei linfociti. Gli effetti ematologici possono anche essere mascherati da un abbondante consumo di vegetali che contengono alti livelli di folati. Per tutte queste ragioni è necessario che donne vegane o vegetariane assumano alimenti fortificati con vitamina B12, ad esempio i cereali della prima colazione e/o un’integrazione adeguatamente controllata sia durante la gravidanza sia durante l’allattamento.
Anche il fabbisogno di ferro aumenta durante la gravidanza, sia per necessità del feto sia per lo sviluppo della placenta. Questo può essere soddisfatto solo in parte attingendo alle riserve materne, che se sono ridotte già prima della gestazione espongono la donna ad un maggiore rischio di carenza. L’anemia aumenta il rischio di morte materna del 50%. Il deficit di ferro è un problema che andrebbe affrontato già prima della gravidanza, in quanto, secondo studi recenti, risulta essere un problema cronico. Chi segue questa tipologia di dieta deve attuare delle strategie per facilitare l’assorbimento di ferro (ad esempio condire i prodotti vegetali con il limone, mangiare frutta ricca di vitamina C come arance e kiwi dopo aver consumato cereali per la prima colazione fortificati) e valutare un’eventuale integrazione con il ferro che deve essere attuata durante la gravidanza.
Infine dovrebbe essere valutato il livello sierico della vitamina D, introdotta con la dieta soprattutto con i pesci grassi come l’aringa e il tonno fresco, specialmente nei mesi invernali quando è ridotta l’esposizione al sole e quindi la sintesi della vitamina stessa. Una sua eventuale carenza può comportare iperparatiroidismo, alterazioni ossee e della funzionalità muscolare.